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Collana POESIA CONTEMPORANEA - 2004

Prefazione di Giulio Galetto

Arnaldo Ederle

Sostanze

Padre.
Così devo chiamarti, nominarti?
Dovrei sentire ancora
l’odore del tuo pane e caffellatte
nel cucchiaio, me
sulle tue ginocchia ad assorbire
per un istante ancora il tuo calore
prima del tuo andare a bottega?
O ammirarti dovrei col tuo cappello
grigio e il bel bastone chiaro
per il passeggio domenicale?
Padre.
Come dimenticare
d’essere ormai coetaneo
della tua ultima età.
Ti vedo a ogni occhiata nello specchio
del mio corridoio
mentre metto il cappello
e me l’aggiusto un poco
sulle ventitré.


pp. 120 - 10,00 EURO

Arnaldo Ederle, poeta, critico e traduttore, è nato a Verona nel 1936 dove vive. Ha seguito studi linguistici e musicali. Ha pubblicato: Le pietre pelose ben osservate (Verona, Ferrari, 1965), Racconti (Verona, “Il Nuovo Adige”, 1974-78), Vocativi e querele (Milano, Il Trifoglio, 1981), Partitura (Guanda, Poesia 3, 1981), Il fiore d’Ofelia (Milano, Società di Poesia-Bertani Ed., 1984), La chiesa di Santa Anastasia (Verona, Office Automation, 1992), Contre-chant (Mondadori, Almanacco dello Specchio n.14, 1993), Paradiso (Udine, Campanotto, 1993), Cognizioni affettive (Roma, Empirìa, 2001). Del 1995 è il libro di racconti Il caso Tramonto (Udine, Campanotto). Oltre ad aver tradotto da G.d’Aquitania, J.Clare, S.J.Perse, M.Maeterlinck, ha curato e tradotto per Guanda due libri di prosa: Ombre italiane di Vernon Lee (Biblioteca della Fenice, 1988) e Amanti assassinati da una pernice di F.García Lorca (Quaderni della Fenice, 1993). Scrive per “L’Arena”, “Il giornale di Vicenza” e “Bresciaoggi”.

Ho sentito più volte Ederle sostenere appassionatamente che l’energia della poesia si esprime nella sua dimensione più piena e autentica quando essa è “voce”, quando passa dalla condizione in qualche modo virtuale o latente della parola stampata sulla pagina all’attualità viva della dizione o meglio – per sottolineare l’analogia con ciò che è proprio della musica – della “esecuzione”. E più volte l’ho ascoltato recitare, anzi, appunto, “eseguire” versi suoi o d’altri e mi pareva davvero che la voce, con frenata ma non dissimulata tensione, cercasse e trovasse quella specie di valore aggiunto che si materializza nel passaggio dalla lettura muta alla phonè dispiegata.

Giulio Galetto

Prefazione di
Mirka Bertolaso Nalin

Piero Piazzola

Aleluja!

Le basse le me stòfega.
No’ l’èra coésto ’l me destin.
Daromài, son qua, e così sia!

Ma ’l me cor ’l galòpa
so le ale dei ricordi
e ’l sgóla su al me paese,
’n montagna,
’n medo ai prè pieni de madéngo,
a spiar ’l sbisegàr as-ciò dei segàti
e le lónghe ciaciaràde
dei quajoti ’namorè
che le se smissia col matutin
che le lòdole ghe canta al sol.

E spèto la sera, fin che se impìssa,
su là in ciel, ’na stela anca par i alóchi,
che la ghe ’mpitura de gialo i oci
par spiar ’l passajo de i rati.

Là dó, ’n fondo al vajo,
i cotórni intanto se svèja,
e, s-ciocàndo ’l bèco uno co’ l’altro,
i se saluda e i sgoaràssa
tra le ampómole,
soto le ombre de la matina.


pp. 140 - 10,00 EURO

Piero Piazzola è nato a Campofontana (Selva di Progno) il 27 marzo 1924 dove ha frequentato le classi elementari. A Verona, presso l’Istituto Don Bosco, ha conseguito il diploma ginnasiale e a Pordenone (Udine), nel 1941, la maturità classica a pieni voti. Dall’aprile 1944 al giugno 1945, ha militato tra le file partigiane della Brigata “Stella” (Divisione “Garemi”) che operò nell’alta Valle del Chiampo, meritandosi il riconoscimento della Croce al Merito di Guerra. Nell’immediato dopoguerra si è iscritto all’Università di Genova, poi, invece, si è indirizzato all’insegnamento e ha conseguito la maturità magistrale presso l’Istituto “Carlo Montanari” di Verona.

Da tutta la sua opera emerge costantemente una fede cristallina e sentita. La profondità dei contenuti, la capacità di penetrazione poetica, la sensibilità con cui entra nell'animo della persona, specie se fuori dagli schemi comuni, la purezza e la precisione del linguaggio conferiscono una nota di preziosità culturale nel mondo poetico dialettale attuale e, ci si augura, momenti e spazi di diffusione più ampi del nostro. Non ha, infatti, mai pubblicato e i pieghevoli augurali con i suoi componimenti si diffondono, a nostro avviso, in ambiti troppo ristretti.

Mirka Bertolaso Nalin

Prefazione di Ferdinando Camon

Alessandra Galetto

Solstizi

Mi sono alzata da tavola
mentre il cuore cessava di battere
e come un automa scollegato
ho camminato verso lo squarcio di cielo
oltre il riquadro della finestra.

Oh Signore,
di nuovo un solstizio
un altro anno che culmina e già declina
e noi ancora qui
ad aspettare che cosa?

In frigo ho un’anguria:
la mangerò dopo la mezzanotte,
valicato il limite di inutile ostinazione del sole,
tra poche ore di nuovo compagno alla mia disillusione
di inventare una durata
dove non è che metamorfosi e rapina.

Tra qualche ora
è già un accorciarsi della luce:
l’estate inizia
intonando il suo canto funebre
ed io non ho che il sapore dolce di un’anguria
per arginare il dolore
nella notte più breve dell’anno.


pp. 98 - 10,00 EURO

Alessandra Galetto è nata il 4/2/1970 a Verona, dove vive e lavora come pubblicista. Ha seguito gli studi classici, laureandosi in Lettere a Padova con una tesi su Umberto Saba, tesi che ha ottenuto nel 1994 il Premio Montale e il Premio Calliope. Ha pubblicato saggi letterari in riviste come Studi Novecenteschi e Il Cristallo. Collabora da anni al quotidiano L’Arena e ha pubblicato anche su periodici veronesi e nazionali. Dal mese di gennaio del 2004 è stata chiamata a dirigere un nuovo mensile veronese, Carnet Verona, che presenta ampie rassegne dell’offerta culturale del mese nella nostra città.

L'autrice di queste poesie ha ragione: quel che hai davanti a te, quando ti svegli, quando t'aggiri in un Super Mercato, quando lavori, quando apri il frigo, quando traslochi, quando guardi fuori dalla finestra, quando volti la pagina del calendario, quando arriva il solstizio, è stupefacente. La poesia non va cercata in qualche sopramondo: ma qui, nel quotidiano. Se non la vedi, è perché vedi male. Guarda meglio. Per le stesse ragioni, la lingua della poesia non dev'essere una super-lingua, tecnica o astratta, una lingua a parte, che può circolare fra l'autore la rivista la cattedra l'istituto il lettore, ma la lingua quotidiana, di tutti, di tutte le cose, di tutti i sentimenti. Quel che Alessandra Galetto vuole comunicare è l'eccezionalità del quotidiano....

Ferdinando Camon

Prefazione di Walter Nesti

Francesco Belluomini

Senza distanze

La funebre orazione di Moravia
mi giunse più tombale del silenzio:
accettata del poeta la sua morte.
Avvolta nel rimpianto la Morante:
prigioniera dei demoni femminei
e del materno schiaffo inconciliato.
Il bronzo delle facce del Palazzo
esteso sulle penne cortigiane.
Il pianto sul faccione della Betti
e quello disadatto dei coatti
mi parve che sfiorisse nella piazza,
travolto dalla calca e dal sudore.


pp. 146 - 10,00 EURO

Francesco Belluomini è nato a Viareggio nel 1941. Fondatore e Presidente del Premio Letterario Camaiore, ha pubblicato diverse raccolte di versi, tra le quali L’altro io (1976), Già dell’equivoco (1978), Giorni miei, la storia già scritta (1979), I racconti dell’anima (1982), Il melomalessere (1985), Tartine e/o quartine (1990), Nudità degli eletti (1993), Oscillazioni del pendolo (Campanotto, 2003); ha inoltre firmato il romanzo Le ceneri rimosse (Newton Compton, 1989) e il romanzo in versi Sul secco di quell’erba (Pagine, 2002).

Le distanze, per un uomo come Belluomini che è nato a Viareggio e ha solcato i mari, rappresentano un termine di raffronto importante per misurarsi con le proprie forze, le proprie capacità fisiche ma anche emotive, per stabilire il termine di paragone che lo separa dalle cose e dagli uomini, così come si vorrebbe coprire lo spazio da un punto fisico ad un altro, sia terrestre, aereo, marittimo. Quello marittimo, soprattutto, gli è più congeniale; perché lo pone solo fra lui e l’altro punto con l’acqua nel mezzo. Non ci sono intermediari, non ci sono pietre miliari ad indicare il cammino, soltanto una bussola forse ma che, in determinate circostanze, la violenza della tempesta può mandare in tilt.

Walter Nesti

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